Parafrasi, Analisi/Commento e Note del Canto V dell' Inferno (Paolo e Francesca)

Dante Alighieri - Divina Commedia - Inferno – Canto V – vv. 1-111

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    Paolo e Francesca



    (Divina Commedia - Inferno – Canto V – vv. 1-142 di Dante Alighieri)

    Parafrasi:

    Così discesi dal I Cerchio al II, che cinge uno spazio minore, ma contiene tanto maggior dolore che spinge a lamentarsi.
    Minosse sta orribilmente sulla soglia e ringhia: esamina le colpe dei dannati che si presentano; li giudica e li destina a seconda di come attorcigli la coda.
    Dico che quando l'anima dannata si presenta davanti a lui, rende piena confessione; e quel conoscitore dei peccati stabilisce in quale zona dell'Inferno debba andare; si cinge con la coda tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere.
    Davanti a lui ci sono sempre moltissime anime; una dopo l'altra vanno a sottoporsi al suo giudizio; parlano e ascoltano, poi sono precipitati giù.
    E Minosse, quando mi vide, mi disse questo, tralasciando un momento il suo alto compito: «O tu che vieni in questo luogo di dolore, bada al modo in cui entri e a chi ti stai affidando! Non ti inganni la facilità dell'ingresso!» E Virgilio rispose: «Perché continui a gridare?
    Non impedire il suo viaggio voluto da Dio: si vuole così in Cielo, dove è possibile tutto ciò che si vuole, quindi non dire altro».
    Ora inizio a sentire le note dolenti; ora sono giunto in un luogo dove molta sofferenza mi colpisce.
    Io giunsi in un luogo totalmente buio, che risuona come il mare in tempesta quando soffiano venti contrari.
    La bufera infernale, che è incessante, trascina rapinosamente le anime; li tormenta sbattendoli e percuotendoli.
    Quando arrivano davanti alla rovina, allora emettono urla, pianti, lamenti; qui bestemmiano Dio.
    Capii che a questa pena sono dannati i peccatori di lussuria, che sottomettono la ragione al piacere.
    E come d'inverno gli stornelli sono trasportati in volo dalle loro ali, formando una larga schiera, così quel vento trasporta gli spiriti malvagi;
    li trascina qua e là, su e giù; non hanno alcuna speranza che li conforti, né di riposo né di una diminuzione della pena.
    E come le gru emettono i loro lamenti, formando in cielo una lunga riga, così vidi venire sospirando delle anime, trasportate da quella tempesta; allora dissi: «Maestro, chi sono quelle anime castigate così dalla oscura bufera?»
    «La prima di coloro di cui vuoi avere notizie,» mi rispose allora Virgilio, «fu imperatrice di molti popoli.
    Fu così dedita al vizio di lussuria, che rese lecito nella sua legge tutto ciò che le piaceva, per eliminare la condanna morale che le spettava.
    Ella è Semiramide, di cui si legge che fu sposa di Nino al quale poi succedette: governò la terra che ora è governata dal Soldano.
    L'altra è colei che si suicidò per amore (Didone), e non tenne fede alla memoria del marito Sicheo; poi c'è la lussuriosa Cleopatra.
    Vedi Elena, per cui si combatté una lunga e sanguinosa guerra, e vedi il grande Achille, che combatté a scopi amorosi.
    Vedi Paride, Tristano»; e mi indicò col dito più di mille anime, che morirono a causa dell'amore.
    Dopo aver sentito il mio maestro nominare le donne antiche e i cavalieri, fui presto da turbamento e quasi mi smarrii.
    Poi gli chiesi: "Poeta (Dante si rivolge a Virgilio, la sua guida attraverso l’inferno e il purgatorio), vorrei parlare a quelle due anime (quei due – Paolo e Francesca) che vanno insieme e che sembrano (paion) leggeri nel vento (non sembrano trascinate dal vento infernale ma portate perché si abbandonano ad esso come in vita si abbandonarono all’amore )".
    Ed egli (Virgilio) rispose: "Aspetta che siano venuti più vicini a noi, poi pregali di avvicinarsi (li priega) per quell'amor che li (i) conduce (mena – in nome di quell’amore che ancora li travolge) e loro verranno".
    Non appena il vento li piegò verso di noi, dissi (mossi la voce): "Oh anime tormentate (affannate – affanno è un termine aulico di origine provenzale molto utilizzato nei componimenti lirici duecenteschi), venite a parlarci, se nessuno (altri –allude a Dio che potrebbe non permetterlo) lo vieta!".
    Come colombe (similitudine), richiamate dal desiderio dei piccoli (dal disio chiamate), con le ali spiegare e ferme si dirigono (vegnon) al dolce nido, spinte (portate) attraverso l'aria (aere) dall'istinto; così quelle anime dalla schiera di Didone (schiera ov'è Dido - gruppo dei lussuriosi in cui si trovava anche Didone, regina di Cartagine che per amore di Enea tradì la promessa fatta al marito morto di non amare più nessuno. Si suicidò quando Enea la abbandonò ) vennero verso di noi attraverso l'aria maligna (aere maligno -aria satura di male e di peccato - metonimia), sentendo il mio affettuoso grido.
    "Oh uomo (animal – nel senso generico di essere animato - sineddoche) cortese e benigno, che vieni a visitare (visitando vai - anastrofe), in quest'aria oscura (aere persometonimia – perso significa persiano e richiama il colore, tra il purpureo e il nero, delle stoffe orientali - metafora), noi [peccatori] che abbiamo macchiato (tignemmo) il mondo di sangue, se Dio (il re dell'universo – perifrasi rispettosa per chi essendo dannato non può proferire il nome di Dio) ci fosse amico (Dio non può ascoltare la loro preghiera perché è la preghiera di un dannato), noi lo pregheremmo per la tua pace (de la tua pace), avendo tu pietà della nostra perversione (mal perverso – la tremenda colpa commessa).
    Quel che a voi piacerà dire e ascoltare piacerà anche a noi, almeno finché il vento lo permetterà (il luogo dove si trovano è risparmiato dall’impeto del vento per permettere il colloquio tra Dante e Francesca).
    La città (terra – si tratta di Ravenna che ai tempi di Dante era molto più vicina al mare di quanto non lo sia ora) dove nacqui (nata fui - anastrofe) sorge (siede) sul litorale [adriatico] (su la marina) dove sfocia il Po con i suoi affluenti (seguaci), a cercarvi la pace (il riposo dopo tanto scorrere).
    [Iniziano qui tre terzine famosissime che si aprono tutte e tre con la parola Amor ]
    L'amore (amor…amor…amor - anafora), che subito (ratto) accende (s’apprende) i cuori gentili/nobili, fece innamorare costui (Paolo) del mio bel corpo (de la bella persona – il concetto che la bellezza sia generatrice di amore appartiene ai canoni dell’amore cortese), che mi fu tolta (perché uccisa); e l’intensità (‘l modo) [di questo amore] mi offende ancora [cioè mi vince, mi soggioga] .
    L'amore, che non tollera (perdona – concetto assai diffuso dello stilnovismo è l’ineluttabilità della corrispondenza amorosa) che chi viene amato non ricambi l’amore, mi fece innamorare (mi prese) della bellezza (piacer) di costui (Paolo), in modo così forte che, come vedi, ancora non mi abbandona.
    L'amore ci portò ad una stessa morte: Caina (caina è il nome, che deriva da Caino il primo fratricida, del I girone dell’ultimo cerchio dell’inferno, il cerchio dei traditori dei parenti) attende colui che ci ha ucciso (chi a vita ci spense)". Ecco le parole che ci dissero (da lor ci fuor porte).
    E io, dopo aver ascoltato quelle anime tormentate (offese), chinai gli occhi (il viso) e rimasi così mesto fin che il poeta (Virgilio) mi chiese: "A che pensi?".
    Io gli risposi: "Ahimè (Oh lasso), quanti dolci pensieri [d’amore], quanto desiderio (desio) condusse costoro all’adulterio (al doloroso passo - eufemismo)!".
    Poi mi rivolsi direttamente a loro e chiesi: "Francesca, le tue pene (i tuoi martìri) mi rendono triste e pietoso sino al punto di farmi piangere (a lagrimar).
    Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri [nei primi tempi dell’amore, quando ancora non si osava manifestare apertamente il proprio sentimento ma esso si esprimeva soltanto in dolci sospiri], per quali fatti (a che) e in che modo (come) l’Amore vi permise (concedette) di accorgervi che i vostri desideri erano reciproci (i dubbiosi desiri – dubbiosi in quanto ognuno temeva di non essere ricambiato) ?".
    E quella a me: "Non c'è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella disgrazia; cosa che sa bene il tuo maestro (dottore: Virgilio, definito dottore in quanto maestro e guida di Dante – egli essendo nel Limbo e quindi relegato nello stato infelice di chi è morto può ricordare lo stato felice della vita terrena, di quando era vivo e famoso).
    Ma se tu hai un così grande desiderio (cotanto affetto) di conoscere l'inizio (la prima radice) della nostra storia te lo dirò come chi piange parlando (cioè unendo le lacrime alle parole).
    Stavamo leggendo (leggiavamo – forma di imperfetto dell’italiano antico) un giorno per divertimento (diletto) come l'amore vinse (strinse) Lanciallotto (Lancillotto, protagonista di un celebre romanzo francese, era un cavaliere della tavola rotonda che si innamorò della Regina Ginevra, moglie di Re Artù. Il passo letto da Paolo e Francesca è quello del bacio tra i due amanti); soli eravamo e senza il minimo presentimento [di quello che sarebbe successo] (sospetto).
    Per più volte (più fiate) gli sguardi s'incrociarono durante quella lettura, e ci fece impallidire (scolorocci il viso – per il turbamento); ma solo un punto [del racconto] ci vinse completamente [annullò ogni volontà di resistere alla passione].
    Quando leggemmo [il passo in cui] la bocca tanto desiderata (il disiato riso di Ginevra - metonimia) venne baciata (basciato – forma che riproduce la pronuncia toscana) dal valoroso Lancillotto (cotanto amante), questi (Paolo), che mai da me sarà diviso, mi baciò tremando sulla bocca.
    Galeotto (il Principe Galeotto, Galehaut, è il personaggio che consiglia a Lancillotto e a Ginevra di confidarsi il loro amore) fu il libro e chi lo scrisse: da quel giorno non continuammo a leggere il libro [perché il loro amore prese il sopravvento su qualsiasi altro pensiero e occupazione]".
    Mentre uno spirito questo diceva (questo disse - anastrofe), l'altro piangeva [Paolo resta nell’ombra ma il suo pianto ha accompagnato il racconto di Francesca], sicché ne rimasi sconvolto [la pietà ha raggiunto la sua acme], al punto che svenni per l'emozione e caddi come corpo morto cade (similitudine).

    Analisi/Commento:

    Il V canto si svolge nel secondo cerchio dell’Inferno, il primo dei quattro in cui sono puniti gli incontinenti, ovvero coloro che non sono stati in grado di controllare i propri istinti ed hanno ceduto all’amore carnale e che sono condannati a volteggiare in continuazione, travolti e trascinati da un vento violento di una bufera infernale, simbolo della passione da cui essi erano stati travolti in vita.
    Dante distingue tra i dannati due anime che volano unite l’una all’altra, e non una dietro l’altra, e chiede a Virgilio di poter parlare con loro. La bufera temporaneamente si placa ed i due si avvicinano a Dante. Si tratta di Paolo Malatesta e Francesca da Polenta, cognati che innamoratisi vennero sorpresi in flagranza di adulterio dal fratello di lui/marito di lei, Gianciotto Malatesta, ed uccisi.
    Dante attinge ad un fatto realmente accaduto: Francesca, figlia di Guido il Vecchio, signore di Ravenna, aveva sposato il deforme e zoppo Gianciotto Malatesta, figlio di Malatesta da Verrucchio, signore di Rimini. Il matrimonio aveva ragioni politiche e sanciva la pace, dopo anni di lotte e contese, tra Ravenna e Rimini.
    Francesca racconta la sua vicenda mentre Paolo singhiozza. Dal racconto emerge l’irresistibile forza dell’amore che ha costretto Francesca a ricambiare l’amore di Paolo perché l’Amore non tollera che non si riami se si è amati. La forza del loro amore è tale che supera la barriera della morte e con la stessa intensità e con lo stesso ardore continua nell’al di là. Il Poeta è turbato dalla narrazione, l’emozione è troppo forte ed egli cade a terra privo di sensi.
    Il motivo che domina l’episodio è quello della pietà: il senso di pietà commossa da parte di Dante percepito da Francesca, oppure la pietà che rivela la silenziosa meditazione di Dante dopo il colloquio con Francesca, infine il culmine finale quando il poeta sviene (sì che di pietade / io venni men così com'io morisse – vv.140-141).
    L’angoscia provata da Dante è legata alla constatazione di quali terribili conseguenze possa portare un sentimento nobile come l’amore quando non più controllato dalla ragione esce dai binari della giustizia e della moralità.

    Note:

    Minosse (vv. 4 ss.) è descritto da Dante con attributi animaleschi, in modo molto diverso quindi da quello virgiliano nel libro VI dell'Eneide (non è chiaro a quali fonti faccia riferimento). Virgilio lo zittisce con la stessa formula già usata con Caronte in Inf., III, 95-96.
    Al v. 20 Minosse sembra citare Matth., VII, 13: spatiosa via est, quae ducit ad perditionem («la via che conduce alla perdizione è assai larga»).
    Non è chiaro cosa sia la ruina citata al v. 34, di fronte alla quale i lussuriosi bestemmiano Dio: si è pensato a una frana prodotta dal terremoto il giorno della morte di Cristo, simbolo per i dannati della giustizia divina.
    Le similitudini con gli uccelli ai vv. 40, 46, 82-84 (stornelli, gru, colombe) si spiegano col fatto che essi erano spesso usati come immagini nella poesia amorosa. I lai (v. 46) sono le strida emesse dalle gru, ma il riferimento è anche ai Lais, genere di poesia franco-provenzale e ai lamenti amorosi citati dai trovatori occitanici. Le colombe appartenevano al corteo di Venere, dea dell'amore, e vengono mostrate mentre vanno al dolce nido, dove si accoppieranno.
    La terra che 'l Soldan corregge (v. 60) è Babilonia in Egitto, ma qui Dante la confonde probabilmente con la Babilonia capitale del regno assiro.
    Al v. 90 sanguigno indica il colore rosso del sangue, come perso (v. 89) indica un colore scuro misto di porpora e nero (Francesca intende dire che lei e Paolo sono morti di morte violenta).
    Il re de l'universo citato da Francesca (v. 91) è probabilmente Dio, ma alcuni commentatori hanno ipotizzato che potrebbe essere il dio Amore, cui la donna era devota in vita.
    La rima ai vv. 95, 97, 99 (voi / fui / sui ) è siciliana (al v. 95 alcuni mss. leggono vui).
    Al v. 96 ci tace vuol dire «qui tace» (ci è avv. di luogo), ma alcuni mss. leggono si tace.
    Il v. 100 (Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende) riprende due versi di Guinizelli e Dante, ovvero Foco d'amore in gentil cor s'aprende (dalla canzone Al cor gentil rempaira sempre amore) e Amore e 'l cor gentil sono una cosa (Vita Nuova, XX). Invece il v. 103 (Amor, ch'a nullo amato amar perdona) riprende un concetto espresso nel De amore, di A. Cappellano.
    I vv. 121-123 sono una citazione di un passo di Boezio (De consolatione philosophiae, II, 4), ma non è certo che il dottore di Dante sia Virgilio, poiché Francesca potrebbe alludere proprio a Boezio.
    Nel romanzo cortese citato da Francesca (vv. 133 ss.) è in realtà la regina Ginevra a baciare Lancillotto, nell'ambito del rituale dell'omaggio amoroso che ricalcava l'investitura cavalleresca: può darsi che Dante avesse letto un tardo volgarizzamento del testo francese in cui la situazione era rovesciata o descritta in modo ambiguo. Galeotto è Galehaut, il siniscalco di Ginevra che faceva da mallevadore ai due amanti del romanzo.
    Il verso finale del Canto (142) è assai simile a quello che chiudeva il III (v. 136: e caddi come l'uom cui sonno piglia).
     
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